Il Kintsugi è una filosofia orientale che significa letteralmente “riparare con l’oro”. È un’antica pratica e tecnica giapponese che consiste nel riparare oggetti in ceramica, utilizzando l’oro per saldare insieme i frammenti. Le fratture non vengono nascoste ma, al contrario, si esaltano, poiché considerano che un vaso riparato riesca a mostrare tanto la fragilità quanto la forza di resistere.

Qualche anno fa mi ero imbattuta in un libri dal titolo “L’arte giapponese di curare le ferite dell’anima” (2018), lo comprai per imparare a curare le cicatrici da cesareo nella mia pratica professionale da Osteopata, sopratutto da un punto di vista emotivo. Mai, avrei immaginato che un giorno sarebbe toccato proprio a me portare una cicatrice da cesareo e non una orizzontale come è consuetudine, ma una verticale, come quelle di una volta! Ricordo che nel suo libro Tomas Navarro insegna come l’arte del riparare gli oggetti rotti possa applicarsi anche alla vita, fornendo tutta una serie di strumenti per diventare maestri nella cura delle ferite. Curare le proprie fratture emotive e dell’anima attraverso l’utilizzo dell’oro vuol dire prendersi cura di ciò che ha provocato sofferenza, ri-unire le parti del proprio “io” rotte.
Bene, evidentemente la vita ha avuto questo insegnamento in serbo per me, affinché potessi diventare una vera maestra delle cicatrici. Sono passati 4 mesi dalla nascita di mio figlio, e adesso mi sento pronta a raccontare la mia esperienza.
– Placenta Previa centrale – era il verdetto che scrisse sulla cartella la Dottoressa che mi fece l’ecografia alla 32esima settimana; – Sicuramente dovrai fare un cesareo – disse. – Un cesareo??!!! Ma non esiste – pensai, questa volta avevo già programmato tutto, avrei fatto un parto in casa, come lo desideravo da sempre, indisturbata in una cornice di pace e amore. Questo era il mio sogno. Avevo persino già contattato un’ostetrica che si occupa di parto in casa. Io stavo così bene, che lavoravo ancora tanto, perché avrei dovuto fare un cesareo? Che poi cosa vuol dire Placenta Previa centrale? In pratica è quando la placenta ostruisce l’uscita del bambino, cioè ricopre l’orifizio. Insomma c’è un ostacolo alla porta del bambino. Testarda per come sono, mi misi a cercare tutte le possibili macumbe e contattai tutti i professionisti e le persone che sapevo potessero aiutarmi a spostare la mia placenta.
Decisi a malincuore, di non lavorare più, e di mettermi a riposo. Le provai tutte: Stare a bacino e gambe elevate per aiutare la risalita della placenta, ricaricarmi di energia, perché si sa che il nostro lavoro spesso ci scarica tanto. Feci visualizzazioni, meditazioni, esercizi, e mi armai di talismani, ma, siamo sinceri, come caspita potevo spostare a 33 settimane una placenta previa centrale?! Io ci provai, perché sono testarda e non volevo lasciare nulla di intentato.
La mia amica Patrizia, donna curandera mi aiuta con erbe e vari esercizi, lei è un arte terapeuta ma sopratutto è una donna saggia. Il mio amico Patrizio invece mi aiuta con i suoi trattamenti di osteopatia Biodinamica. La Biodinamica ti aiuta a sprigionare le forze di autoguarigione, e devo dire che tutte le volte che mi trattava mi sentivo bene e in pace, e Domenico il mio collega osteopata mi risolveva i problemi di sciatica. Insomma era circondata da persone che mi volevano bene ed erano li per aiutarmi.
Avevo 4 settimane per compiere il miracolo, fino a quando a 36 non avrei dovuto fare un altra ecografia. E in effetti in soli 4 settimane siamo riusciti a spostare la placenta di circa 3-4 centimetri dall’orifizio, ma per scongiurare qualsiasi rischio ho dovuto fare una risonanza magnetica alla placenta, una prassi del nostro ospedale catanzarese. Purtroppo la risonanza evidenziò un letto vascolare sotto la placenta, il che significava rischio emorragia, rischio di placenta accreta (solo questa mi mancava!) e rischio di perdita dell’utero. Solo in quel momento mi sono resa conto della condizione in cui mi trovavo. Mi arresi, forse in un primo momento rassegnata, ma con la consapevolezza di dovermi affidare alle mani esperte di un chirurgo. Contattai subito il Chirurgo, e da li a 5 giorni mi operò con urgenza per evitare emorragie del letto vascolare durante il travaglio.
Di comune accordo decidemmo per un bel taglio verticale, ovvero il meno estetico, perché attraversa l’addome, ma il meno cruento laddove avrei avuto complicanze.
Che poi alla fine da qualche parte avevo letto che anche se esteticamente non bello, ma in realtà avrebbe interrotto solo un meridiano e non tanti meridiani come avviene con il taglio orizzontale.
E così a 37 settimane, il 2 aprile venne alla luce Ermes Nahele.
3 trasfusioni di sangue, ma con l’utero in salvo. Alla fine l’emergenza c’è stata, perché persi oltre due litri di sangue. La placenta si staccò , ma l’utero non si volle più contrarre. Grazie alle mani esperte dei medici ho ancora il mio utero. Hanno usato una tecnica chiamata “balloon” per fermare l’emorragia. In pratica ti mettono un palloncino dentro l’utero e lo gonfiano per bloccare l’emorragia, e poi avevo due zaffi ai lati. Conservo un ricordo comunque bello di questo evento nascita, seppur medicalizzato, ho appreso che venire alla luce assume tanti significati.
Ed è così che forse doveva venire alla luce il mio “Nuovo io” nato proprio da un evento spiacevole, come dice Navarro nel suo libro Kintsukoroi.
«Vivi intensamente e lavora a ogni opera con amore infinito, consapevole che, se la vita o un’opera si rompono, potrai ricomporle di nuovo.» Raku Yaki
Ho capito che vivere è riservato ai coraggiosi, e che devi uscire dalla tua «zona di comfort» e cercare la crescita, in maniera attiva. Quando vivi intensamente corri più rischi e accetti di essere vulnerabile. Questo implica una grande forza emozionale, perché presuppone un livello di autoconsapevolezza tale da metterti al riparo dalle pressioni esterne. Ma spesso siamo proprio noi stessi i giudici più severi di noi stessi.
Ho capito che il mio corpo è predisposto a riparare i danni, così come lo è la mia mente e le mie emozioni. Sì, perché corpo, mente ed emozioni hanno quello che si chiama impulso di riparazione, incaricato di assicurare la guarigione di ciò che si è rotto.
Ho capito anche che non mi devo vergognare della mia cicatrice ma che devo abbracciarla, questa è la delicata lezione simbolica che suggerisce l’antica arte giapponese del kintsugi. Non si deve buttare ciò che si rompe. La rottura di un oggetto non ne rappresenta più la fine. Le fratture diventano trame preziose. Si deve tentare di recuperare, e nel farlo ci si guadagna. Una grande sfida per noi, che nel 2022 abbiamo persino la moda usa e getta, e siamo abituati a sostituire subito ciò che si rompe. Riparare è l’essenza della resilienza. Cercare il modo di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, crescere attraverso le proprie esperienze dolorose, valorizzarle, esibirle e convincersi che sono proprio queste che rendono ogni persona unica, preziosa.
Il kintsugi di una tazza rotta può richiedere il lavoro di un mese, il kintsugi della mia cicatrice è ancora in atto. Ho fiducia che alla fine diventerà opera d’arte.
Sono circondata di anime belle, ma una in particolare mi ha preso per mano e mi ha accompagnata passo passo, dalla sala operatoria alle notti in ospedale, senza di lei non avrei conservato un ricordo bello della nascita di mio figlio. Senza di lei non avrei potuto baciare mio figlio subito appena nato, ricordo ancora il calore e quella pelle morbida, calda e umida. Ed è grazie a lei che ho imparato a chiedere, chiedere aiuto e non aver paura di farsi prendere per mano. Sandra sa rendere ogni parto, ogni nascita speciale e unica. Grazie