LA PSICOLOGIA PRENATALE: DAL FETO AL LATTANTE
Da alcuni anni è cambiato il modo di considerare il bambino nelle prime fasi dello sviluppo, perché sono cambiate la conoscenza e la comprensione delle sue capacità e competenze: oggi la ricerca e le teorie sullo sviluppo nei primi anni di vita concordano nel riconoscere al bambino precise capacità, oltre che psicocognitive, anche relazionali e comunicative.
Il neonato viene considerato come il “risultato” di eventi psicologici, biologici e sociali che intercorrelano tra di loro in modo multifattoriale al fine di permetterne lo sviluppo; sembra che il risultato di questa nuova forma epistemologica sia da attribuirsi alla maggiore comunicatività che metodologie e scienze diverse mettono in atto. Parlare dello sviluppo – sia nei suoi risvolti “sani” che in quelli “patologici” – significa parlare di un tema che interessa, e mette sullo stesso piano osservativo, tanto la medicina quanto la psicologia, le scienze sociali, la pediatria, la neonatologia, la perinatologia, ecc., in un’ottica multifattoriale e multifocale (Fava Vizziello, et al., 1983).
La Psicologia Prentale è una disciplina nata dall’interazione di conoscenze mediche (medicina ostetrico-ginecologica, medicina pre- e peri-natale, biologia ecc.) e conoscenze psicologiche (psicologia dello sviluppo, della personalità, psicologia dinamica, psicobiologia, psicofisiologia ecc.); ha come scopo lo studio dello sviluppo delle capacità psicofisiologiche, comunicative e relazionali del feto, a partire dal presupposto – già consolidato sperimentalmente – che il feto sia in grado di ricevere stimoli (intra- ed extra-uterini), elaborali (anche psicologicamente), e rispondervi.
LA PSICOLOGIA PRENATALE
Durante lo sviluppo prenatale il feto vive nella madre, e l’unica possibilità per il ricercatore di osservare e studiare questo sviluppo è quella di rifarsi alla raccolta e all’analisi degli indici fisiologici e alle descrizioni dei vissuti materni. Con il sussidio di ecografi, cardiotocografi, elettrocardiogrammi, elettroencefalogrammi, fetoscopi ecc., è possibile confermare che il feto è dotato di un sistema sensoriale che gli permette di ricevere gli stimoli dall’ambiente intra- ed extra-uterino, e di rispondere con variazioni qualitative e quantitative della sua frequenza cardiaca e del suo movimento (Righetti, Sette, 2000).
Alcuni studi sperimentali (Murooka, 1974; De Casper, Sigafoos, 1983; Madison, et al., 1986;
Van den Bergh, 1990; Kisilevsky, Muir, 1991) hanno evidenziato dei risultati interessanti:
• il suono predominante in ambiente intrauterino è il battito cardiaco materno, e il nascituro è in grado di memorizzarlo, così come è in grado di riconoscere e discriminare stimoli diversi, voci, sensazioni dolorifiche, tonalità chiaro/scure ecc.;
• il bambino, dopo la nascita, riconosce il rumore del battito cardiaco della madre, e percepisce se si tratta di ritmo agitato o rilassato;
• il bambino, dopo la nascita, riconosce anche altri stimoli con i quali ha familiarizzato durante l’esperienza prenatale;
• c’è correlazione tra lo stato ansioso materno e l’attività motoria fetale, e tra il movimento fetale e quello successivo, neonatale.
L’ascolto del battito della propria madre (attivata o rilassata) produce una variazione nei movimenti e nelle frequenze cardiache dei neonati; questi risultati dimostrano ulteriormente anche la relazione tra la vita emotiva prenatale e quella postnatale, e dimostrano altresì che esiste una relazione emotiva dinamica tra madre, feto e neonato. Mentre all’ascolto del battito della propria madre il neonato aumenta e diminuisce il valore degli indici registrati a seconda se il battito che sente è attivato o rilassato, quando sente il battito di una madre estranea le risposte che emette non hanno nessuna significatività.
Questi studi permettono di capire come sia possibile interpretare e riprodurre sperimentalmente l’esistenza di attività psichica e capacità relazionali ed emotive del feto. Queste nuove metodiche d’indagine, che confluiscono nella Psicologia Prenatale, permettono di capire la correlazione, oltre che biologica, anche psicologica e interattiva tra la vita intrauterina e quella extrauterina (post-nascita), e ci mettono di fronte alla realtà di un bambino che già nel periodo prenatale è capace di ricevere, elaborare e rispondere a precise stimolazioni (anche a contenuto emotivo) grazie al suo apparato psicofisiologico sensoriale, e di instaurare delle relazioni comunicative significative al suo sviluppo grazie a quelli che, da un punto di vista teorico, abbiamo definito “Stati dell’Io Prenatale” (Righetti, 1996, 1996a; Righetti, Sette, 2000).
Avere capacità psicologiche e relazionali significa avere un proprio Io. L’Io è ciò che permette di entrare in contatto con il mondo esterno, è la somma di quello che si pensa e si prova, le emozioni. L’Io è il risultato dell’esperienza; quando un soggetto possiede caratteristiche fisiche e biologiche per interagire, entrare in contatto, rispondere a stimoli, percepire, avere esperienza, allora possiede un suo Io (Federn, 1952; Weiss, 1960; Berne, 1961; Perls, Hefferline, Goodman, 1997; Della Vedova, Imbasciati, 1998).
«Il termine esperienza può essere considerato come un sinonimo di consapevolezza: essere consapevoli di una determinata esperienza significa essere in contatto con l’ambiente, un ambiente fisico, biologico, sociale, psicologico ed emotivo; essere in contatto esperienziale con l’ambiente significa costruire la propria personalità, il proprio Io, il proprio Sé.
Dopo il 4°-5° mese di gravidanza il feto sente, tocca, si muove, risponde in modo creativo, esplora, partecipa alle esperienze emotive della propria madre, reagisce a stimolazioni interne (intrauterine) ed esterne, è quindi un protagonista attivo della propria vita, è in continuo contatto esperienziale e consapevole con l’ambiente che lo circonda: tutto questo può far ipotizzare che in un qualche momento della vita fetale (difficile da precisare) abbia inizio la costruzione dell’Io. […] Questo Io, che possiamo chiamare Io Prenatale, è il progenitore dell’Io Postnatale: si tratta sempre di un unico Io che, a mano a mano, a partire dall’esperienza uterina, ‘fa i conti’ con nuove situazioni, e si modella per costituirsi in un Io adulto, completo. Il feto ha una sua identità genetica e biologica ma ha anche, e soprattutto, una sua precisa identità psicologica. […].